La Violenza sulle donne disabili: La Tecnologia a sostegno della discriminazione multipla

LA VIOLENZA SULLE DONNE DISABILI: LA TECNOLOGIA A SOSTEGNO DELLA DISCRIMINAZIONE MULTIPLA

È da poco trascorso il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne e, soprattutto in questo anno pandemico Covid-19, le statistiche hanno dato la loro sentenza ufficiale: solo durante il lockdown, i femminicidi sono triplicati e il ricorso al 1522, il numero verde del Dipartimento per le Pari opportunità attivato per le donne vittime di violenza e stalking, è aumentato del +71,7% (dati Istat marzo-ottobre 2020).
La diffusione del numero antiviolenza è stata rilevante: spot video, cartellonistica, pubblicità online, passaparola sui social e tra i vari gruppi di autodeterminazione e sostegno. Ed è sicuramente un bene che sia stato pubblicizzato e che si continui a farlo. Ma in che modo? Le parole sono importanti e così anche il linguaggio che si usa diventa uno strumento fondamentale di lotta alle discriminazioni.

E in caso di discriminazione multipla?

Martina Gerosa, urbanista, Disability & Accessibility Manager, collaboratrice di CDH-Accaparlante in un suo interessantissimo articolo su Informareunh, pone l’accento proprio su una scorretta comunicazione e diffusione del messaggio che, pur nel suo nobile intento di informazione e sensibilizzazione, rischia di diventare discriminatorio. Quel “chiama il 1522” dà infatti per scontato che chi ha bisogno di aiuto, abbia la possibilità di udire e/o usare la propria voce. E se non potesse farlo, come nel caso di una persona sorda?
Nella pubblicità raramente si fa riferimento alla possibilità esistente di usare una chat-line e questo crea un ulteriore gap informativo: si sottovaluta la questione della DISCRIMINAZIONE MULTIPLA, ovvero l’appartenenza da parte di uno stesso individuo a due o più categorie a rischio di discriminazione (genere, disabilità, etnia, classe sociale).
Se è dimostrato che la violenza di genere è trasversale e colpisce le donne indipendentemente da età, provenienza, religione, professione, status sociale ed economico, la percentuale di rischio delle donne con disabilità di essere vittime di violenza è da 2 a 5 volte maggiore.

Richiedere aiuto è uno step doloroso e difficile per molteplici dinamiche che si intrecciano nella psicologia di una donna vittima di violenza: ci vuole forza, coraggio e consapevolezza di sé. Tutte caratteristiche che sono tra le prime ad essere intaccate, specie se la violenza è perpetrata all’interno del nucleo familiare o di una relazione, come nella stragrande maggioranza dei casi.
Se a queste difficoltà aggiungiamo la percezione di barriere comunicative e materiali insuperabili, la scarsità di strutture e servizi capaci di rispondere ai bisogni specifici, così come le difficoltà di accesso alla giustizia ecco che le possibilità di intraprendere un percorso di uscita dalla violenza possono abbassarsi notevolmente per una donna con disabilità. È drammatica inoltre l’assenza di dati specifici al riguardo: non solo la violenza rimane nascosta e non viene rilevata dagli enti pubblici e privati preposti, ma rappresenta una grave violazione dei diritti fondamentali di queste donne.

Quali Diritti per le persone con disabilità?

Il 3 dicembre, si celebra la Giornata internazionale delle persone con disabilità istituita dalla Nazioni Unite nel 1992 con lo scopo specifico di promuovere i diritti e il benessere delle persone disabili in tutti i campi della società civile. Sulla specifica situazione delle donne con disabilità Il Parlamento europeo nella Risoluzione del 29 novembre 2018 ribadisce che tutte le persone con disabilità devono avere la possibilità di beneficiare pienamente dei propri diritti sulla base dell’inclusione e della piena partecipazione alla società e sottolinea che ciò è possibile solo attraverso l’attuazione di politiche attive e pubbliche e l’eliminazione di tutti gli ostacoli alla partecipazione

Quale può essere allora il ruolo della tecnologia nella lotta alle discriminazioni?

Laddove il settore tecnologico è tra quelli maggiormente discriminatori sia nell’accesso (Digital Divide) che nell’inclusione lavorativa, è indubbio che la tecnologia può scontare le sue colpe nel mettersi a servizio per il superamento delle stesse.
Nei giorni scorsi si è svolta online la XII edizione di Handimatica: Tecnologie digitali per la comunità fragile che quest’anno si è concentrata sulle conseguenze del Covid 19 in tema di smart working, didattica a distanza, tecnologie e assistenza a persone con disabilità e anziani. Nella lotta tecnologica per prevenzione e contrasto della violenza di genere riportiamo invece l’esempio del progetto Libere, o di Chayn Italia che funziona come aggregatore di informazioni.

Ma cosa accade quando le due problematiche si intrecciano? Il problema infatti è che spesso si affrontano gli argomenti come se si trattasse di compartimenti stagni, separati tra loro, ma la realtà è molto più variegata di come siamo abituati a pensarla ed è importante ricordarlo costantemente per trovare soluzioni innovative ed efficaci a problematiche complesse, spesso sottovalutate.

Parliamo di abbattimento delle barriere, non solo architettoniche, ma anche e soprattutto, comunicative e questo è perfettamente in linea con la mission di PEDIUS che, fin dalla sua nascita si è sempre battuta per l’accessibilità dei servizi di emergenza alle persone sorde. Martina Gerosa, sempre nel suo articolo sopra citato, parla di Pedius come un esempio virtuoso di azienda a forte responsabilità sociale e auspica un’integrazione dei servizi esistenti di prevenzione e contrasto alla violenza di genere con questo e altri sistemi di inclusione per le donne con disabilità. Perché, come ci ricorda Simona Lancioni, responsabile del Centro Informareunh, nel Kit informativo in collaborazione con FISH, la Federazione Italiana per il superamento dell’handicap all’interno del progetto Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica. Azioni e strumenti innovativi per riconoscere e contrastare le discriminazioni multiple, non bisogna mai dimenticare il diritto principale all’autodeterminazione delle donne disabili.

La strada da fare è ancora tanta, ma la direzione è chiara e un passo alla volta possiamo raggiungere un mondo migliore possibile e accessibile a tutti e tutte.
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Valentina Conti

Laureata al DAMS e appassionata di arte e spettacolo dal vivo, si è formata anche nel campo dell'organizzazione di eventi culturali.
Particolarmente sensibile alla lotta alle discriminazioni, ha appena inaugurato la sua collaborazione in Pedius.

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